Della giovinezza una costante rimane
una selva di cuori spezzati,
di cocci mostrati impudichi al sole,
camicie azzurro pallido e candore sotto tailleur finto Chanel,
e polo e maglioni e jeans ed eskimo
e sciarpe d’autunno multicolori
e abbronzature salse di pelle e di mare.
E ancora una selva di cuori spezzati,
ricomposti, trepidanti, incollati.
Appesi ad un ramo, caduti, risorti, orgogliosamente svettanti,
graffianti nel cielo
e poi accoccolati, paurosi, dall’azzardo turbati,
ma dolcissimi
finché una canzone li avvolge
e cantando a squarciagola, rimangono teneri, ridenti e stonati.
Una variegata parata di cuori, tra svettanti e spezzati. Sono i tuoi e i loro, penso. Si cambia “divisa” per ogni stagione della vita e, con gli abiti che si scelgono, si abbinano i ritmi dei sentimenti, dei pensieri e della parole.
Siamo mutevoli, a dispetto di chi sostiene che non si cambia quel che si è.
Ci evolviamo, a volte è devoluzione, che poi si supera, imparando e conoscendo.
Le piante crescono sempre, fino alla morte. Noi diventiamo più bassi, invecchiando, ma più esperti di vita.
È vero che mutano gli abiti, ciò che ci rende adeguati a noi stessi e agli altri che ci interessano in una stagione del vivere. Quanto durino le stagioni è questione personale, a me solletica molto l’idea di flusso e gli abiti sono i corpi, fisici o intellettuali che ci mettono assieme a chi scegliamo. Così non ci si curva col tempo ma sempre meglio ci si esplora e riconosce.